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Da dove viene il nome di "Stagione bruna" ?
lundi 26 août 2013, par , ,
Ci-dessous la traduction en italien, réalisée par l’un de nos rédacteurs occasionnels Julien SIMONPIERI, de l’un des articles publiés dans notre numéro 40 "Dans les pas de saison brune". Il s’agit de l’article écrit par André Gattolin intitulé "De quoi "Saison Brune" est-elle le nom ?
Circa l’autore : André Gattolin, senatore ecologista degli Hauts de Seine dal 2011, è anche Dottore in informazione e comunicazione, insegna a Paris III. Dopo avere abbozzato un parallelo storico fra fumetto ed ecologia politica, egli analizza la struttura narrativa della "Stagione bruna" : se questo UFO grafico, che tiene del documentario e del saggio, è costruito come un film, l’opera di Philippe Squarzoni ha anche una portata filosofica incontestabile, in particolare nella sua maniera di trattare del rapporto fra temporalità e clima.
Fumetto ed ecologia
In Francia ed altrove, il numero dei fumetti che ha per tema uno dei numerosi aspetti dell’ecologia non ha smesso di crescere nel corso degli ultimi due decenni. Dal 1997, un premio che onora il migliore albo in questa categoria - il Premio Tournesol - è anche accordato ogni anno nel quadro del Festival di Angoulême, la più importante manifestazione consacrata alla 9a Arte. Dobbiamo dire che il fumetto è molto cresciuto : si indirizza più spesso ad un pubblico adulto, intellettuale e curioso di informazioni e di racconti venuti dal mondo intero, che non esita più attraverso questo modo di espressione ad avvicinarsi a dei problemi considerati difficili sia dal punto di vista sociale che politico. A lungo considerato come un’arte minore e sprezzato da generazioni di genitori ed insegnanti, il fumetto è diventato nel filo delle generazioni un ’arte a parte intera, sia letteraria che visuale. Il riconoscimento di cui beneficia oggi è stato lungo ad arrivare. In paragone al cinema di cui è contemporaneo, il fumetto tarderà molto in effetti a vedere il suo apporto culturale accettato dal grande pubblico e dalle istituzioni. Come il cinema, è un ’arte sequenziale che si nutre di testi, di dialogo e di immagini. Attraverso la transposizione in cartone animato o l’adattamento filmato di taluni grandi successi, la settima arte gli ha d’altronde molto preso.
Ma nei fatti il fumetto è stato troppo spesso assimilato all’edizione per bambini ed al dominio del divertimento popolare allora che il cinema accedeva lui, nel periodo entro le due guerre, al rango d’oggetto culturale ed artistico. La molto lenta intronizzazione del fumetto nell’accademia culturale ricorda d’altronde il lungo percorso di combattente dell’ecologia politica nel seno delle nostre società, dalla sua creazione fino al relativo riconoscimento istituzionale odierno. Al dil là dell’apparizione quasi concomitante del cinema e del fumetto, non è d’altronde inutile ricordare che le prime incarnazioni sociali dell’ecologia politica risalgono alla fine dell’ottocento. Il Yellow Kid di Richard F. Outcault - considerato come il primo fumetto della storia - ha fatto la sua apparizione nel 1894, allora che la prima grande organizzazione ambientale - il Sierra Club - è stata fondata in California nel 1892 da John Muir. Anche se l’ecologia politica non può in nessuna maniera essere apparentata né ad una tecnica d’espressione né ad un settore della creazione culturale , è nondimeno stupefacente in termini di coincidenze temporali constatare che è più o meno alla fine degli anni 1960 ed al principio degli anni 1970 che i due arrivano a una certo tipo di maturità e di universalità all’interno del campo sociale. È in effetti a quell’epoca che il fumetto comincia veramente a lasciare il territorio stretto del divertimento destinato alla gioventù e conquista le sue lettere di nobiltà per diventare un oggetto culturale a parte intera e che l’ecologia diventa un pensiero politico autonomo, portatrice di una visione globale del mondo, mettendosi a sorpassare il circolo dei soli innamorati della natura e del panorama. Per andare ancora più lontano nella constatazione della forte sincronia fra i due fenomeni, si può egualmente dire che, malgrado l’assai forte posizione istituzionale che hanno l’uno et l’altro oggi, il fumetto e l’ecologia politica continuano ad essere oggetto di alcuni pregiudizi legati al lungo periodo di marginalità che hanno vissuto. Il primo, malgrado il suo potere editoriale, le sue opere maggiori ed il suo numero importante di grandi autori, è ancora frequentemente visto come una "sotto-cultura". La seconda, malgrado il posto acquistato nel dibattito pubblico e le belle prestazioni elettorali, resta sempre una cultura minoritaria anche nei paesi dove alcuni dei suoi rappresentanti partecipano alla gestione degli affari.
Sviluppo separato
Peraltro il parallelo fra fumetto ed ecologia politica sembra fermarsi qua. Se la loro nascita e la loro crescita presentano una sorprendente similarità, le loro storie rispettive si sono, fino adesso, solo molto occasionalmente incrociate. Anche se non esiste un’antinomia viscerale fra questi due domini, il meno che si può dire è che hanno conosciuto una forma di sviluppo separato. Certo, i due coabitano un pò alla fine degli anni 1960 e durante una parte degli anni 1970, in uno certo tipo di stampa alternativa, militante et sopratutto contro-culturale. I disegni di Robert Crump - sopratutto il suo famoso Mister Natural - o anche quelli più politici di Ron Cobb punteggiano regolarmente le pagine delle vibranti riviste dell’underground americano, allora che tutta una serie di autori europei, drogati dall’effervescenza creativa e contestataria del dopo-68, prendono anche loro delle tematiche ecologiste per alimentare le colonne di titoli tanto rari che emblematici del cambiamento culturale che si operava all’epoca. Ma in questa abbondanza intellettuale e creativa, l’ecologia politica non rappresenta al momento che una piccola stella nel mezzo di una grande nebulosa proteiforme. All’immagine della rivista Actuel - quella della prima epoca - che le consacra di tanto in tanto un numero speciale in confronto ad una multitudine di altre tematiche come la vita comunitaria, le droghe, la pop music, il pacifismo, la liberazione sessuale... Al suo lato, il fumetto è vantato come una nuova forma di espressione popolare, innovatrice e sovversiva, che si oppone all’accademismo ed all’elitismo dei gusti veicolati dalla cultura borghese. Ma nel panteon della contro-cultura, sembra occupare soltanto un posto secondario in confronto alla musica rock e al rinnovamento della Folk, del road movie e del cinema d’autore, del pop art e dello stile psichedelico, del living theater e della performance... In Francia, soltanto il mensile La Gueule Ouverte, creato nel 1972, tentò di associare strettamente ecologia, politica, fumetto e strip. Dobbiamo dire che questa specificità dipende molto dal suo creatore, Pierre Fournier, che fu disegnatore, giornalista e militante ecologista della prima ora. La sua disparizione prematura qualche mese dopo la creazione della rivista lascerà sfortunatamente la formula originale rapidamente orfana dello spirito di colui che l’aveva iniziata...
Il fumetto ecologista non esiste (o quasi)
L’ibrido fra fumetto ed ecologia non ha dunque mai veramente funzionato. Può darsi perché l’uno è essenzialmente un veicolo culturale ed uno spazio di creazione ed immaginazione allora che l’altro è un pensiero intimamente legato all’azione, alla pratica sociale’’ e nello stesso tempo alla conoscenza scientifica. Il genere "fumetto ecologista" non ha une realtà significativa. Certamente, esiste un certo numero di opere disegnate che si nutriscono dell’immaginario ecologista o più esattamente di certe parti rilevanti del campo molto composito e eterogeneo che si raggruppa nel vocabolo ecologia.
Che cosa c’è di comune fra un fumetto a tendenza pedagogica e didattica destinato a predicare la buona parola e un romanzo grafico che mette in scena una narrazione altrettanto intimista, altrettanto fantastica, distopica o profondamente veridica ? Ma anche ordinati e messi insieme, gli albi di fumetti che trattano di ecologia non riescono a costituire un insieme sufficientemente coerente per permettere di delimitare i contorni di una categoria degna di questo nome, con la sua famiglia di autori, i suoi codici, le sue regole, i suoi stili e le sue forme proprie dello scritto o della rappresentazione del reale...
I tentativi di alcuni editori e sgobboni della tavola a disegno di fare surf sulla "moda ecologista" a partire dagli anni 1980 non hanno prodotto generalmente che dei "nanars" rapidamente svenduti prima di finire la loro vita al macero. Quanti alberi abbattuti per, nell’insieme, dei risultati così scadenti.
È un fatto : ecologia e business, come fumetto e militanza, fanno generalmente delle brutte unioni. Certo, esistono alcune rare e sorprendenti riuscite - penso in particolare alle tavole di Reiser sull’energia solare o ancora ai "Rumori sul Rouergue", questa splendida favola ecologista di Tardi e Christin. Ma non si tratta che di opere molto specifiche prodotte da un pugno di grandi autori.
Una recensione esaustiva di questo tipo di opere resta ancora da fare, ma ho la convinzione profonda che, messe le une vicino alle altre, queste fallirebbero a rappresentare un genere e non costituirebbero che un’eccezione eteroclita senza un vero denominatore comune.
"Stagione bruna" : un fumetto ?
Quando "Stagione bruna" è uscito in libreria qualche mese fa, devo ammettere che l’acquisto che ho fatto non era per niente un’atto d’impulso. Non ero veramente spinto da un desiderio scatenato di tuffarmi nella sua lettura. Ho soltanto ceduto all’invito un po’ insistente di uno dei miei amici librai ("Devi assolutamente leggerlo ! È veramente bello... Sono sicuro che ti piacerà !") Pressione amicale ed anche pressione sociale... Parlamentare ecologista e grande amatore di fumetti, non me la sentivo di dire che non mi interessava per niente leggere questo mattone così virtuoso la sera nel mio letto prima di addormentarmi. Ho dunque finito per comprare il libro ("potrò sempre offrirlo a qualcuno" ho persino pensato) assieme ad altri tre o quattro altri albi per far passare la pillola... Arrivato a casa, l’ho meccanicamente seppellito sotto la pila dei "libri da leggere" e l’ho finalmente esumato solo qualche mese dopo quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo su questo libro. Le mie reticenze riguardo "Stagione bruna" erano il prodotto di una massa di pregiudizi che, con il passar del tempo, avevo accumulato in merito al fumetto ed al suo matrimonio - improbabile secondo me - con la causa ecologista. A questo si aggiungeva il fatto che non conoscevo veramente il lavoro di Philippe Squarzoni. Avevo vagamente sfogliato una delle sue precedenti opere senza andare più lontano, per una vecchia acrimonia verso i disegnatori che lavorano su una fotografia. Quando questa pratica è sistematica da parte di un disegnatore, si può immaginare quest’ultimo, nei suoi abiti di realizzatore della domenica, dirigere con un po’ di autoritarismo i suoi attori di fortuna (famiglia, amici o prossimi...) per produrre una moltitudine di tristi cliché di cui prenderà in considerazione nella sua piuma - e per calchi interposti - solo il carattere orribilmente fisso e poco espressivo... È quando, per di più, l’autore mette in scena se stesso, con sua moglie e il cane, l’intolleranza per questo stile può rapidamente arrivare al colmo !
L’arte del racconto e del ritaglio per Squarzoni
Per un grande numero di puristi della nona Arte, il lavoro fotografico è in effetti una tecnologia giudicata come detestabile. Senza dubbio perché è in contraddizione con l’idea generale in Europa che un buon fumetto riposa prima di tutto su un disegno sbrigliato e sui pennelli di un artista superdotato. E poco importa se costui è servito da una storia e da una trama narrativa delle più insipide. In maniera generale, una certa cultura estetica conduce in effetti nel nostro vecchio continente, nel mondo del fumetto come nel mondo del cinema, a dare importanza alla dimensione visuale all’opera, a detrimento della storia, dell’intelligenza del ritaglio delle scene e degli effetti d’ellisse molto suggestivi che accompagnano le logiche narrative proprie a queste due arti sequenziali. Durante un’intervista recente, Philippe Squarzoni non nasconde di considerarsi un "mediocre" disegnatore , di utilizzare la fotografia come una specie di "stampella" nel quadro del suo lavoro giornalistico e grafico (Dai propositi di Philippe Squarzoni in un’intervista data nel maggio 2009 al sito Cuverville. http://www.cuverville.org/article43340.html). Il disegno è là solo per illustrare, nella maniera la più realistica e la più semplice possibile, la trama argomentata che prende cura di costruire a lungo e con precisione. Per l’autore, il momento più appassionante del suo lavoro è quello dove elabora il dettaglio della trama, dei capitoli e delle sequenze che lo compongono e quando determina l’ordinamento delle caselle all’interno di ognuna delle sue tavole. E allorché, alla lettura di queste opere, si vede con che maestria lui procede in questa materia, non c’è da stupirsi di trovare fra le sue principali referenze avverate di "graphic modelists" come i talenti Alan Moore ("Watchmen", "la leggenda degli uomini straordini"..." o Brian Michael Bendis ("Powers"). Di fatto, ed aldilà del proposito sviluppato dall’autore sul cambiamento diplomatico , "Stagione bruna" rileva della grande arte del fumetto con il suo taglio particolarmente elaborato, le sue sequenze audaci che sanno alternare passaggi alternativi densi nel testo a momenti esclusivamente grafici e visuali senza dialoghi né commenti.
Nel filo di questa lunga opera di quasi 500 pagine, si può apprezzare la semplicità del disegno di Squarzoni che serve ammirevolmente lo sviluppo di una storia difficile, che resta per ora senza un vero inizio né una vera fine.
Una opera di ecologia politica in fumetto
"Stagione bruna" è dunque un fumetto ed un ’opera importante della nona Arte. Essa ne coltiva senza eccezione tutti gli attributi formali. Nel suo aspetto editoriale, l’opera rinvia alla categoria del "romanzo grafico d’autore", alla quale certi editori come Gallimard, Le Seuil, L’Association, Delcourt, Les Requins marteaux ed altri hanno offerto le sue lettere di nobiltà in Francia. Ma se le opere pubblicate in questo tipo di collezione non eludono le questioni di società, il genere neo romanesco, mettendo in scena dei percorsi di vita o le riflessioni intimiste dell’autore, resta per ora singolarmente predominante. "Stagione bruna" da questo punto di vista è abbastanza differente dell’approccio autobiografico alla moda nel seno della scuola europea del romanzo grafico.
L’opera di Squarzoni tratta di una delle maggiori questioni dell’ecologia d’oggi : quella del cambiamento climatico. Un soggetto globale ed eminentemente complesso che non può essere seriamente abbordato senza sviluppi scientifici conseguenti. Ed in questo registro l’autore di "Stagione bruna"eccelle nel lavoro di volgarizzazione a destinazione di un pubblico poco o non iniziato a queste domande difficili. Le virtù didattiche e pedagogiche di quest’opera, il rigore dell’argomentazione sviluppata e la facoltà dell’autore a sintetizzare lo stato delle conoscenze in questo dominio senza cadere nel semplicismo o nella vile propaganda sono stati salutati dagli specialisti. Il materiale utilizzato da Squarzoni per costruire il suo libro è molto composito. Va dalle interviste che ha condotto con degli specialisti, dagli elementi precisi estratti dai rapporti del GIEC, dai dati quantitativi ed statistici sul fenomeno considerato, sino agli estratti di reportage, di pezzi di giornali televisivi... È là che lo stile grafico e a volte fotografico nello stesso tempo molto epurato e molto realistico del disegno di Squarzoni contribuisce perfettamente all’unità ed alla coerenza visuale di un proposito associando delle fonti d’informazioni così eterogenee.
Gli schemi scientifici ed i quadri statistici incontrati nelle pagine di questo libro s’integrano con grande facilità nello sviluppo dell’opera e nello stesso tempo non scompagnano con lo stile grafico sobrio e oggettivo dell’occhio fotografico praticato dall’autore durante questa maratona narrativa in immagini. È dunque un libro che resta assai unico nell’universo già ricco della nona Arte. E si dovrà ancora aspettare uno o due decenni per sapere se questo tipo d’associazione fra fumetto, ecologia e volgarizzazione scientifica farà scuola. La nostra convinzione personale è nondimeno che l’alleanza molto specifica nella quale è fabbricata "Stagione bruna" non è che il frutto originale del lavoro di un autore particolare ad un momento dato ed in un contesto circostanziato. Quando si rimette "Stagione bruna" nel seno della serie di libri già pubblicati dall’autore e dei progetti che prepara attualmente, sembra chiaro che Squarzoni non sembra volersi rinchiudere nel solo campo dell’ecologia e delle domande relative all’ambiente. Autore impegnato come si descrive da solo , il campo dei soggetti che abborda è abbastanza largo e corrisponde di più a quello dell’altermondialismo che a quello dell’ecologista preso nella sua accettazione visuale.
Un documentario in caselle...
Come qualificare allora "Stagione bruna" se, per la sua forma e il suo proposito, questo libro non entra in nessuna delle categorie o sotto generi che organizzano tradizionalmente l’essenziale della produzione del fumetto ? Pubblicato in una collezione di "romanzi grafici" e trattando di un tema sensibile e ricorrente dell’attualità, l’opera può in molti punti essere apparentata alla categoria che oggi fiorisce, il "fumetto reportage" o il "giornalismo disegnato". Questo tipo di produzione editoriale conosce in effetti un importante sviluppo dagli anni 1990, in particolare negli Stati Uniti, grazie al posto che ha saputo tagliarsi in particolare nei giornali come Raw o nelle colonne delle grandi riviste tali che The New Yorker. Joe Sacco - l’autore di "Palestina" e di "Gaza 1956, una storia in margine" - è senza dubbio l’autore più emblematico di questa nuova generazione e colui che ha più contribuito a popolarizzare questo genere presso un gran pubblico. Che prenda la forma di une grande reportage o di una storia personale di vita in un contesto politico particolare (si pensa qui a "Persepolis" di Marjane Satrapi o "Formose" di Li-Chin Lin), è questione in generale di una forma di fumetto che presta molto ai procedimenti di immersione e di narrazione suggestiva sviluppati dal Nuovo giornalismo americano a partire degli anni 1960 e 1970. Ma non è la via scelta qui da Squarzoni.
Certo l’autore appare molto spesso nel libro, tanto nelle immagini rappresentate che nelle voci off che analizzano e commentano lo sviluppo della storia nelle sue 500 pagine. Ma non c’è in lui nessuna velleità di posarsi in Tintin reporter dei tempi moderni o in Michael Moore grafico forzando le porte oscure del potere con il suo carnet di schizzi come camera... Quello che costituisce il valore principale del lavoro di Squarzoni risiede nella distanza riflessiva che instaura in rapporto al suo oggetto e la sua preoccupazione permanente di spiegazione razionale degli annessi e connessi del soggetto che abborda.
Impegnato, Squarzoni lo è di certo, ma il suo impegno è prima di tutto quello della ragione : un impegno che rifiuta il soggettivismo sbrigliato o l’uso delle energie emozionali così pratiche per convincere solo i convinti e fare molto rapidamente precipitare il lavoro documentario in opera di propaganda. Allora si, più che a tutt’altro genere della produzione dei fumetti, è al documentario filmico che "Stagione bruna" è apparentata di più. Nella sua forma libresca "Stagione bruna" potrebbe in effetti fare l’oggetto di un adattamento quasi letterale, sequenza per sequenza, schema per schema, in una produzione filmica. Tutti i materiali utilizzati in questo documentario a caselle sono già concepiti in termini di immagini animate. Il libro si apparenta su questo punto di vista a un story-board sofisticato, preoccupato per i minimi dettagli dei piani da filmare, gli angoli da adottare, dei contenuti e dei dialoghi a mettere in esergo e il montaggio finale a realizzare. Insomma, noi siamo là nel "pronto a filmare".
La passione di Squarzoni per il cinema è d’altronde flagrante, e non si traduce solamente negli angoli e nei tagli che adopera, ma ugualmente nell’inserimento nella sua storia di molti citazioni in testi ed immagini di qualche grande opera cinematografica. L’autore, creando questo libro grafico, ha forse pensato a un possibile adattamento filmico di costui. Ma, all’evidenza, una trasposizione di "Stagione bruna" in cine-documentario sembra poco probabile. Dapprima perché per essere fedele all’opera originale, un tale documentario avrebbe un formato così lungo (al meno 4 ore) che sarebbe poco adatto ad una diffusione su grande schermo o ad un programma televisivo. In seguito sopratutto perché la complessità di alcuni argomenti scientifici sviluppati in quest’opera richiede una lettura - ed a volte anche una rilettura - molto attenta, anche da parte di un pubblico relativamente iniziato a questi soggetti.
Questa possibilità di arrestarsi o di ritorno su immagini, permettendo una buona assimilazione dei contenuti da parte del destinatario,è il proprio della forma libresca al contrario della forma filmica che riposa su una relativa linearità dell’attenzione e che si presta meno facilmente ad un nuovo riesame delle sequenze già sviluppate. Non potendo arguire dell’esistenza di un genere "fumetto ecologista", si può leggere in "Stagione bruna" l’emergenza di un genere qualificabile di "documentario in caselle " - o "documentario fumetto" se si preferisce - già illustrato da molte delle precedenti opere di Squarzoni.
... ed un saggio sull’incertezza dell’inizio e della fine
Ma per andare più avanti sulla denominazione e la qualificazione di "Stagione bruna", si deve riconoscere che questo libro è più che un semplice documentario descrittivo ed analitico di una realtà così ampia e cruciale In maniera brillante, riflessiva ed a volte metaforica, Philippe Squarzoni ci porta durante tutto il suo libro verso delle domande di natura filosofica sulla capacità umana a determinare l’inizio e la fine di una storia, che si tratti di un’avventura personale, di una recita o ancora di una sequenza veramente storica che impegni tutta o parte del divenire della civilizzazione umana e della terra che la protegge. Nelle prime pagine di "Stagione bruna", l’autore s’interroga notevolmente sul momento e le circostanze - tanto personali che sociali - che l’hanno condotto ad interessarsi alla questione del cambiamento climatico ed a decidere di consacrarne un libro. In questo tipo di auto-analisi sulla genesi ed il termine formali del suo lavoro, l’autore lascia chiaramente intravedere che il dubbio e le domande sono nel cuore della sua pratica ; l’unica pratica che permette di non tradire l’estrema complessità del soggetto al quale si riferisce. Perché, aldilà delle certezze scientifiche che abbiamo oggi sulle questioni climatiche, si può constatare che è passato più di un secolo e mezzo fra il momento nel quale l’attività umana ha cominciato ad avere un incidenza notevole sul clima ed il momento nel quale noi abbiamo cominciato a prendere coscienza di questo fenomeno. Se noi siamo adesso in misura di datare e di spiegare il principio di questa fase antropocenica del clima e possiamo abbozzare degli scenari possibili all’orizzonte di qualche decennio, siamo però ancora ignoranti di quello che può precisamente accadere e se la folle machina che noi abbiamo messo in moto non sia già arrivata alla soglia di irreversibilità. Il libro di Squarzoni ci interroga sulla nostra attitudine a definire il momento dove la fine di una cosa diventa ineluttabile, a volte molto tempo prima del momento nel quale le premesse di questa fine si manifestano. Vogliamo o possiamo fermare il meccanismo del riscaldamento globale del pianeta ? Abbiamo già superato il momento a partire del quale una catastrofe annunciata, poi assunta, diventa una catastrofe definitiva ? Esiste ancora, se non un avvenire radioso, almeno un futuro sostenibile ? Domande che restano evidentemente senza risposte in questo libro, perché Squarzoni è sempre abitato dal dubbio : il suo, intimo e personale, portato dal rifiuto di disperare, ma anche il dubbio che avvolge ancora le nostre conoscenze su un soggetto ed una problematica così complessi. Il dubbio che abita l’autore non ha evidentemente niente a che vedere con il dubbio pernicioso che distillano oggi i climatoscettici che contestano le origini umane del cambiamento climatico attualmente all’opera. In questa materia, le convinzioni di Squarzoni sono presenti e brillantemente descritte nella prima parte della sua opera. No, il suo dubbio porta sopratutto sulla possibilità degli umani alla scala planetaria di sorpassare lo stadio di presa di coscienza e di agire globalmente in un contesto dove non esistono certezze né su una possibile reversibilità della situazione, né sul tipo di organizzazione credibile per cominciare questo tipo di cambiamento. Alcuni, leggendo "Stagione bruna" e l’intervista di Squarzoni in questo numero di Ecorev’ , criticheranno forse l’autore per il suo rifiuto di affermare perentoriamente l’esistenza di una soluzione politica alle domande che formula. Ma è senza dubbio quello che fa la forza e l’intensità del suo libro e la sua capacità - per le interrogazioni che lascia sussistere - di stabilire una relazione dialogica con un lettore senza certezze politiche sul soggetto...
Di che "Stagione bruna" è dunque il nome ?
Evidentemente "Stagione bruna" non è il nome di un libro critico che si dà per missione di dirigere le coscienze e di galvanizzare le folle al servizio di una visione che pretende possedere la risposta politica al problema del cambiamento climatico. È un progredire nello stesso tempo intuitivo e ragionato che si rifiuta di mettere da parte il dubbio ed a ridurre la complessità delle cose nel nome della giusta causa. "Stagione bruna" è nondimeno una opera profondamente impegnata ed impegnante perché sorpassa il solo annuncio "di una verità che disturba" e non cade mai in un catastrofismo hollywoodiano rinviando perpetuamente alla metafora un po’ vecchia del Titanic in procinto di naufragare.
Ciò di cui questo libro è il nome è finalmente molto ben tradotto dal titolo scelto dall’autore. L’espressione "Stagione bruna" è poco conosciuta dal pubblico francese. Per analogia, essa fa nascere spontaneamente l’idea di una "stagione all’inferno", di un periodo oscuro colpito dal diktat di una peste bruna... Se la critica dell’ordine economico e sociale che governa oggi la società degli uomini alla scala planetaria è chiara nella seconda parte del libro, essa non costituisce però l’oggetto principalmente sviluppato dall’autore. "Stagione bruna" rinvia ancora e sempre alla questione del tempo, della nostra capacità a sapere dove siamo del processo ingaggiato e della nostra motivazione ad agire in questa incertezza che ingloba la reversibilità o no della situazione globale nella quale siamo ingaggiati. Come Squarzoni lo spiega brevemente alla svolta della pagina 386 del suo libro, "Stagione bruna" è la maniera nella quale si qualifica un lungo periodo dove il clima e la natura rimangono incerti in un ordine di cose supposto ineluttabile : "Nel Montana, esiste una quinta stagione, un momento sospeso fra l’inverno e la primavera, tra il gelo ed il disgelo. Una "stagione bruna", intermediaria, dove i ghiacci hanno cominciato a fondere... ma dove la primavera non ha ancora affermato la sua presenza."
Il Nord-Este del Montana, a causa della sua latitudine, delle sue montagne e del suo clima continentale è in effetti la regione più fredda degli Stati Uniti e gli Americani amano dire a volte che esistono lì non cinque stagioni ma una sola : l’inverno. Capita di vedere la neve cadere in estate. È vero però che il periodo di passaggio fra la stagione fredda et la stagione calda è lungo e molto incerto. Per Squarzoni, è urgente uscire dall’indecisione ed iniziare le politiche di transizione necessarie. Più aspettiamo e più le costrizioni saranno brutali e più i nostri valori, in particolare la democrazia, saranno messi a dura prova. Ma l’autore sembra dubitare della capacità umana e sociale di decretare l’emergenza immediata per la preservazione del bene comune a medio e lungo termine... Eterna difficoltà dell’ecologia politica !
Perché il clima non è soltanto il garante del nostro ambiente e degli ecosistemi nei quali le società umane tentano di costruirsi.
Il clima è anche - come l’etimologia della parola lo ricorda - la nostra scala, la nostra maniera di iscriverci e di organizzarci nella temporalità. Storicamente ed a scala umana, è sempre attraverso il clima, ancor più che attraverso le stelle, che abbiamo scelto di misurare il tempo. E, più che il giorno e la notte, sono le stagioni, e in particolare il ritorno della primavera, che hanno permesso all’uomo di verificarsi nel tempo cosmico come nella durata della sua esistenza personale. Ecologicamente come antropologicamente, il clima è la sorgente del nostro tempo...
È precisamente questa riflessione sul tempo, sul suo senso e sul suo significato che danno a questo documentario a caselle la sua dimensione a volte propriamente metafisica.